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preoccupazioni su dazi e concorrenza #finsubito prestito immediato


Federmotorizzazione Confcommercio Mobilità sollecita l’intervento delle istituzioni europee per monitorare l’ingresso di auto cinesi in Europa attraverso la Turchia, sfruttando l’unione doganale con l’UE e aggirando i dazi.

Federmotorizzazione Confcommercio Mobilità ha recentemente lanciato un allarme sul crescente ingresso di automobili cinesi nel mercato europeo, che avviene attraverso la Turchia, sfruttando l’accordo di unione doganale tra Ankara e Bruxelles. La federazione ha presentato un’interrogazione alla Commissione Europea, sollecitando risposte concrete su come verranno affrontati questi flussi commerciali che minacciano la competitività dell’industria automobilistica del continente.

Secondo quanto dichiarato da Carlo Fidanza, capo delegazione ECR Group e membro della Commissione TRAN, la Turchia sta diventando un canale preferenziale per i produttori cinesi per aggirare i dazi imposti dall’UE sulle auto importate direttamente dalla Cina, che possono arrivare fino al 31,3%. «Questa pratica mette a rischio l’intera industria automobilistica europea», afferma Fidanza. «L’Europa deve essere pronta a difendere i propri interessi economici.»

L’accordo UE-Turchia: un’opportunità per i produttori cinesi

L’accordo di unione doganale tra l’UE e la Turchia consente alle merci di circolare liberamente tra i due Paesi senza essere soggette a dazi doganali. Se da un lato questa misura favorisce lo sviluppo delle relazioni commerciali, dall’altro rischia di trasformarsi in una scappatoia per i produttori cinesi che, sfruttando impianti produttivi in Turchia, riescono a immettere sul mercato europeo automobili senza pagare i dazi.

Negli ultimi anni, colossi cinesi come BYD e Chery hanno investito massicciamente in Turchia, costruendo nuovi impianti di produzione e aumentando significativamente la loro capacità produttiva. Nel 2023, la Turchia ha prodotto circa 1,4 milioni di veicoli, una cifra destinata a crescere rapidamente grazie a questi investimenti. «La Turchia sta diventando una base strategica per l’espansione cinese in Europa», ha commentato Federmotorizzazione.

I rischi per l’industria automobilistica europea

Il timore principale per l’industria automobilistica europea è che il flusso di auto cinesi tramite la Turchia possa creare squilibri di mercato, penalizzando i produttori locali. «L’accordo UE-Turchia non deve diventare uno strumento per aggirare le regole del mercato europeo», avverte Federmotorizzazione.

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L’industria automobilistica europea è già sotto pressione per via della transizione energetica e delle normative ambientali sempre più stringenti. Se a questi fattori si aggiunge la concorrenza sleale rappresentata dalle auto cinesi che entrano in Europa a costi ridotti, il rischio per il settore diventa ancora più serio. «Non possiamo permettere che le auto cinesi godano di un vantaggio competitivo ingiusto», dichiara Carlo Fidanza.

La richiesta di intervento dell’Unione Europea

L’interrogazione presentata da Fidanza al Parlamento Europeo mira a fare chiarezza su tre questioni principali: la Commissione è a conoscenza della strategia delle auto cinesi che passano dalla Turchia? Quali misure intende adottare per proteggere l’industria europea? E chi garantirà che l’accordo doganale con la Turchia non venga usato per evitare i dazi?

Il Parlamento Europeo ha già avviato un dibattito sulla questione, ma il settore automobilistico europeo si attende risposte rapide e incisive. Federmotorizzazione insiste sull’importanza di una regolamentazione più rigorosa e di controlli più severi per evitare che il mercato europeo venga invaso da prodotti che non rispettano le normative commerciali.

Investimenti cinesi in Turchia: una strategia a lungo termine

Il legame tra Turchia e Cina è cresciuto negli ultimi anni, con investimenti sempre più significativi da parte di aziende cinesi nel settore automobilistico turco. Questi investimenti, supportati da politiche economiche favorevoli, hanno trasformato la Turchia in un hub strategico per l’export di automobili verso l’Europa. Le case automobilistiche cinesi sfruttano la posizione geografica e l’accordo di unione doganale per far entrare i loro veicoli nel mercato europeo senza subire le restrizioni sui dazi.

BYD e Chery, due dei maggiori produttori cinesi, sono tra le aziende che hanno beneficiato maggiormente di questa situazione, ampliando le loro strutture produttive in Turchia e facendo leva sull’accordo commerciale con l’UE per esportare le loro auto in Europa. «Questo flusso di investimenti deve essere attentamente monitorato», ha dichiarato Federmotorizzazione, «per evitare che la competitività dell’industria automobilistica europea venga compromessa».

L’appello di Federmotorizzazione: misure urgenti per proteggere il mercato europeo

Di fronte a questa situazione, Federmotorizzazione Confcommercio Mobilità ha chiesto l’intervento immediato delle istituzioni europee per garantire che l’accordo doganale UE-Turchia non venga utilizzato in modo improprio. «È fondamentale adottare misure preventive per evitare che le auto cinesi entrino nel mercato europeo senza rispettare le regole», afferma l’associazione.

Federmotorizzazione rappresenta circa 125.000 imprese in Italia, che operano nel settore della mobilità e impiegano oltre 450.000 addetti. L’associazione ha sottolineato che l’industria automobilistica europea, già sotto pressione per l’elettrificazione e le nuove normative ambientali, non può permettersi di subire un ulteriore danno economico dovuto alla concorrenza sleale.

Quali soluzioni può adottare l’Unione Europea?

Secondo Federmotorizzazione, l’UE deve agire rapidamente per introdurre controlli più severi sugli accordi commerciali con la Turchia, in modo da garantire che i produttori cinesi non utilizzino la Turchia come un corridoio alternativo per eludere i dazi imposti dall’UE.

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Inoltre, la Commissione potrebbe considerare la possibilità di implementare un sistema di certificazione delle origini dei veicoli importati dalla Turchia, per verificare che i prodotti siano effettivamente realizzati in loco e non semplicemente esportati dalla Cina. Solo con misure rigorose sarà possibile mantenere un mercato competitivo e garantire che tutti i produttori operino in condizioni di equità.



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