Per più di un’ora non sono riusciti a riprendere la propria macchina, lasciata parcheggiata tra via Pirandello e discesa Empedocle. A sbarrare l’uscita della vettura, una Peugeot 208. Dopo aver suonato e risuonato il clacson, marito e moglie si sono attaccati al telefono e hanno chiamato i vigili urbani e il numero unico d’emergenza: il 112. Quando il proprietario della Peugeot, dopo circa un’ora appunto, è sopraggiunto, per poco, non è scoppiata una zuffa. E non è successo perché c’è stato il propizio intervento di un carabiniere libero dal servizio e dei colleghi di pattuglia al Radiomobile.
L’automobilista indisciplinato è stato multato. Ma adesso rischia anche – si procede a querela di parte – una denuncia alla procura della Repubblica per l’ipotesi di reato di violenza privata.
Sosta selvaggia e ostacoli alla libertà di movimento, il prefetto a sindaci e polizie municipali: “Denunciate per violenza privata”
Era metà dello scorso giugno quando il prefetto di Agrigento, Filippo Romano, scriveva ai sindaci, ai comandanti delle polizie municipali, ma anche al questore e a tutte le forze di polizia. La massima autorità governativa richiamava tutti affinché – con l’obiettivo “di debellare il fenomeno della sosta selvaggia” – si procedesse anche alla denuncia penale per violenza privata. “Il fenomeno della sosta selvaggia non si identifica con il mero parcheggio in divieto di sosta, ma implica una situazione di disordine tale da limitare la libertà individuale e, conseguentemente, l’ordine e la sicurezza pubblica – aveva scritto Romano – . Ne è esempio quanto accaduto nel capoluogo lo scorso 15 maggio: il conducente di un pullman di linea, bloccato da un’autovettura in sosta non solo vietata ma che impeditiva il passaggio del mezzo, è stato aggredito a colpi di manganello per aver richiamato i responsabili. Dev’essere chiaro che la sosta che impedisca il passaggio, o che blocchi le auto regolarmente parcheggiate, non è soltanto un illecito amministrativo, ma integra il delitto di violenza privata poiché ostacola o impedisce la libertà di movimento. La Corte di Cassazione lo ha chiaramente affermato con plurime pronunce: nn.16571/2006, 8425/2013, 1774/2017, 53978/2017 e, da ultima, 27559/2023″.
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