Il tema apre al decisore una questione atavica ed importante, una questione che trova radici sino all’etica e all’ideologismo. In un Paese veramente liberale, con regole certe e condivise in cui il libero mercato è espressione, talvolta crudele ma questa è altra questione, di democrazia sociale ed economica, si può pensare di chiedere una tassa sugli extra profitti realizzati? Viceversa, si può pensare che dei privati, mi riferisco alle banche, demandati a gestire un servizio pubblico possano essere tanto restii a concedere un aiuto allo stesso Paese che gli consente di fare utili più che generosi nell’offrire un pubblico servizio? La mia analisi non è rivolta a quelle piccole banche che ogni giorno combattono per rimanere autonome e per continuare ad essere rappresentanza di categorie sociali e commerciali – come le piccole BCC, le casse rurali o le banche di territorio – bensì mi riferisco alle grandi banche di sistema, che dal sistema Italia sono sempre state giustamente protette e finanche aiutate in quanto maggiori detentrici della ricchezza popolare e rappresentanti della finanza e dell’imprenditoria italiana nel mondo.
Mi riferisco a quelle banche aiutate nel 2018/2020 e svuotate di quei NPL che tanto pesavano nei loro bilanci. Il Governo italiano si è fortemente adoperato a sostegno di quelle banche che custodiscono ancor oggi il tesoretto di molte famiglie italiane. Poco è importato ai poveri risparmiatori, terrorizzati dall’idea di poter perdere i propri risparmi, se l’intervento fosse simbolo di liberalità o meno. Credo che il Governo abbia agito con spirito di solidarietà sociale e di protezione delle famiglie italiane, e diversa pratica ma stesso atteggiamento solidale si è avuto nel periodo Covid. Allora questa bella Italia che sa essere solidale, anche se ingiustamente scambiata per illiberale, e che rappresenta una eccezione nel panorama europeo, anche nell’attuale dibattito politico sulla tassa agli extra profitti dimostra dignità e liberalità nella richiesta di aiuto. Le domande che però si pongono sono diverse. Era inevitabile dividere il Paese sul tema? Era davvero impossibile pensare che gli stessi banchieri che sono stati aiutati e sostenuti in più riprese – e che hanno visto salvati insieme a loro anche i loro bonus – riuscissero a trovare uno slancio di solidarietà sostenendo quello stesso Paese che in passato aveva salvato loro? Se non una extra tassa su un extra profitto, sarebbe stato possibile, all’interno dei centri studi bancari, individuare qualche leva che avrebbe garantito, previo pagamento di un contributo, una opportunità per le grandi banche di sistema?
La generosità di mamma Italia rappresenta un valore eccezionale e unico, i suoi banchieri, dai Medici in poi, sono quasi sempre stati simbolo di solidità e serietà. Spesso però l’incapacità di fare sistema, di fare squadra, e la tendenza a dividerci in opposte fazioni ci rende unici anche da questo punto di vista.
Un Paese liberale è quello che guarda al libero mercato, sapendo che rendere libero il mercato significa concedere opportunità a tutti e, come Stato, fare un passo indietro per lasciare spazio all’iniziativa privata. Ma un Paese liberale è anche quello solidale in cui non si lascia indietro nessuno e si è pronti a fare squadra… fare squadra e sistema che, a mio avviso, ha sempre un po’ difettato al mondo finanziario e bancario italiano. Forse l’assenza del grande vecchio, dell’insostituibile arbitro, del silenzioso ed instancabile tessitore si fa sentire ancora una volta. O forse è semplicemente giunto il momento che i nostri più bravi, lungimiranti e capaci banchieri trovino l’ispirazione e l’opportunità di essere parte di una squadra più grande chiamata Italia. Nei nostri centri studi, bancari o politiche siano, credo ci siano più soluzioni ipotizzate in termini di leve politico finanziarie atte a stabilire un nuovo patto nel sistema Paese condiviso tra i vari attori.
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Lo sforzo più grande da compiere è forse quello di archiviare per un attimo le proprie posizioni ed aprire il confronto vero con le controparti, un confronto basato sui contenuti e non sulle twittate che tanto hanno affascinato i nostri capitani negli ultimi anni. Il tema può sembrare utopico, ma un Paese in cui i vari attori non si confrontano sui temi reali e restano nella loro verità, arroccati sulle proprie posizioni da difendere pubblicamente, non sarà un Paese che potrà trovare le corrette soluzioni. Il mio invito è rivolto alle associazioni bancarie, alle loro rappresentanze, alla loro intellighènzia, che può e deve ritenersi parte di un Sistema Paese, e che forse le soluzioni già le possiede. Forse le grandi banche e i banchieri si sono un po’ scollati dalla realtà vera del Paese?
Sarebbe opportuno che le grandi banche ripristinassero un sano e costruttivo dialogo con le realtà bancarie più piccole, all’interno delle quali forse si possono individuare delle soluzioni, perché le piccole realtà e le rappresentanze di categoria restano antenne efficaci sul territorio. Anche nelle piccole banche possono sedere grandi banchieri, lungimiranti e portatori di interesse degli italiani di tutti i giorni. Dunque si, un paese liberale a mio avviso può e deve essere anche solidale. La competizione nel sistema bancario in un mercato libero deve esserci, ma se si decide che il sistema debba essere protetto e salvaguardato, allora questa protezione e salvaguardia può essere anche bidirezionale Banca-Stato.
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