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Tolleranze costruttive e Consiglio di Stato:la legittimità di un provvedimento impugnato va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente all’epoca della sua adozione – Associazione Segretari Comunali e Provinciali #finsubito prestito immediato


Tratto da: Lavori Pubblici  

Le nuove tolleranze costruttive di cui all’art. 34 bis del d.P.R. n. 380/2001 novellato dal c.d. “Decreto Salva Casa” (Decreto Legge n. 69/2024) non possono essere applicate nei contenziosi relativi a provvedimenti impugnati precedentemente, perché la loro legittimità va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente all’epoca della loro adozione.

Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità per le Amministrazioni di rivedere le proprie determinazioni, rivalutando le originarie istanze, alla luce delle novità introdotte dal decreto legge n. 69/2024 convertito con modificazioni nella legge n. 105/2024.

A conferma di quanto sia complessa la gestione delle pratiche di sanatoria da parte delle Amministrazioni anche dopo le “semplificazioni” apportate al Testo Unico Edilizia con il Salva Casa è la sentenza del Consiglio di Stato del 25 ottobre 2024, n. 8542, con cui Palazzo Spada ha respinto l’appello proposto contro il rigetto su una pratica di sanatoria relativa all’innalzamento di un sottotetto in un edificio nel centro storico.

Secondo l’amministrazione, l’intervento sarebbe stato insuscettibile di sanatoria, per aver comportato una modifica della sagoma, dell’altezza e del volume dell’edificio, in contrasto con le NTA e con la categoria di intervento pari alla “ristrutturazione edilizia”, la quale non ammette alcuna modifica planivolumetrica.

In particolare sarebbe stata modificata la sagoma dell’edificio con incremento della volumetria e modificato le altezze oltre il limite di tolleranza del 2% previsto dall’art. 34 bis del d.P.R. n. 380/2001. In sostanza, trattasi di una parziale difformità del titolo edilizio, ex art. 34 del d.P.R. n. 380/2001, e in contrasto con la vigente normativa comunale, ex art. 27 del d.P.R. n. 380/2001.

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Secondo la ricorrente, il Comune avrebbe errato nel considerare l’altezza del fabbricato all’estradosso (parte esterna) anziché all’intradosso (parte interna) della copertura del tetto e che avrebbe utilizzato l’altezza di gronda (parte più bassa del tetto) anziché quella media tra le fronti della copertura.

Tale errore avrebbe comportato la mancata applicazione delle c.d. “tolleranze costruttive” nella misura del 2% stabilita dall’art. 34-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione temporis). Non solo: la modifica effettuata sarebbe stata ammessa perfino dall’attuale formulazione dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, laddove declina la definizione degli interventi di “ristrutturazione edilizia”, peraltro senza comportare alcun aumento di volumetria, bensì una modestissima modifica della sagoma dell’edificio, riconducibile al concetto di “tolleranza costruttiva”, sicché il richiamo alle norme tecniche di attuazione sarebbe inconferente.

Palazzo Spada invece ha ritenuto che il Comune abbia correttamente applicato le regole urbanistiche, chiarissime nel vietare la modifica di sagoma e volume del fabbricato.

 

Non solo: per i giudici il fatto che l’Amministrazione abbia limitato a determinate fattispecie l’ammissibilità della ristrutturazione edilizia non si pone in contrasto con la definizione della stessa prevista dall’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, atteso che l’art. 2, comma 4, dello stesso decreto consente ai Comuni, nell’esercizio della loro potestà urbanistico-pianificatoria e nell’ambito dell’autonomia statutaria e normativa di cui all’art. 3 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, di disciplinare l’attività edilizia e quindi di introdurre le limitazioni ritenute necessarie a salvaguardare e tutelare il patrimonio edilizio esistente nel superiore interesse della collettività.

Risponde infatti al principio di sussidiarietà che sta alla base delle regole di governo del territorio consentire al singolo Ente territoriale di individuare quali tipologie di interventi ammettere o non ammettere in una zona, senza che ciò implichi una deroga – non consentita – ai paradigmi definitori nazionali, concretizzandosi piuttosto nella individuazione di quanto ritenuto compatibile col contesto e quanto no.

Inaccettabile anche la tesi per cui il sottotetto costituiva parte del piano adiacente: la giurisprudenza ha infatti chiarito che, al fine di verificare l’osservanza della tolleranza di cantiere, occorre considerare la “singola unità immobiliare” intesa come porzione dell’edificio dotata di autonomia, a prescindere dal numero di piani di cui essa si compone. La norma, all’art. 34-bis stabilisce infatti che «il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo» e deve essere intesa nel senso che la “tolleranza di cantiere” rilevante per escludere l’abusività dell’intervento va posta in relazione con la porzione di immobile cui esso accede, e non con la superficie dell’intero palazzo, come si evince dal dato letterale che fa appunto riferimento «singole unità abitative».

Pertanto, al fine di evitare applicazioni distorsive della disposizione, occorre considerare solo la porzione e/o la parte di “unità immobiliare” a cui l’abuso stesso si riferisce concretamente, rapportandolo alle misure progettuali indicate nella pratica edilizia.

nfine, l’appellante sostiene che le modifiche apportate apportate all’immobe rientrano – come da attestazione tecnica prodotta in corso di causa – nel regime delle tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001, come recentemente modificato dal decreto legge n. 69/2024 convertito con modificazioni nella legge n. 105/2024.

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Sul punto ricordiamo le previsioni del comma1-bis dell’art. 34-bis, vigente dal 28 luglio 2024, secondo cui, per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro i limiti:

  • a) del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile superiore ai 500 metri quadrati;
  • b) del 3 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 300 e i 500 metri quadrati;
  • c) del 4 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 100 e i 300 metri quadrati;
  • d) del 5 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 100 metri quadrati;
  • d-bis) del 6 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 60 metri quadrati.

Tuttavia, evidenzia Palazzo Spada, l’attestazione tecnica prodotta, così come le nuove tolleranze costruttive di cui al novellato art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001 (post decreto-legge n. 69/2024) non possono essere prese in esame poiché la legittimità del provvedimento originariamente impugnato, risalente al 2021 va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente all’epoca della sua adozione, quando il decreto legge n. 69/2024 evidentemente ancora non era stato adottato.

Ciò, tuttavia, conclude il Consiglio, non esclude la possibilità per il Comune di rivedere le proprie determinazioni rivalutando l’originaria istanza alla luce delle novità introdotte dal decreto legge n. 69/2024 convertito con modificazioni nella legge n. 105/2024.

 



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