Per l’arte contemporanea, l’ecologia è allo stesso tempo una pratica, un metodo, un contenuto e un modo di stare nel mondo: i diversi livelli stanno diventando sempre più intrecciati e difficili da distinguere tra loro, e anche questa è una buona notizia. In fondo, per l’ambientalismo il medium è sempre anche il messaggio. Come per ogni altro mezzo di espressione, per gli artisti visivi il cambiamento climatico è un invito a riflettere sulla propria pratica, sui materiali, su ogni singola scelta che compiono, sia estetica sia produttiva. Se per gli audiovisivi come il cinema o le serie tv ormai esistono protocolli di sostenibilità strutturati e società di consulenza che aiutano a rendere i set più ecologici, per il mondo dell’arte è tutto lasciato alla sensibilità e iniziativa personali. In compenso, per chi vuole fare la propria transizione ecologico-artistica c’è innanzitutto una lunga storia di ricerca a cui attingere: l’economia circolare è sempre stata un patrimonio delle avanguardie, da Duchamp in poi, in grado di lavorare con ogni tipo di scarto. La novità è che oggi la domanda di sostenibilità si è estesa a chi lavora con i materiali più tradizionali: anche i pittori devono confrontarsi con la provenienza delle loro tempere, dei colori, degli acquerelli, delle tele, dei pennelli.
Nelle gallerie di tutto il mondo emerge una generazione di artisti che sono diventati dei piccoli chimici, quasi degli alchimisti, grazie ai loro processi di sperimentazione ecologica sulle materie prime. Come la canadese Nicole Young, che usa solo pigmenti naturali che lei stessa produce attingendo dai suoi consumi alimentari, cioè il cibo che mangia e che prepara a casa. Il risultato è che le sue opere, a partire dai colori usati, risulteranno stagionali, proprio come la frutta e la verdura. «Ogni mio progetto è allo stesso tempo artistico e scientifico», spiega Young, perché servono competenze da laboratorio per convertire gli avanzi della zuppa di cipolle in tempere, come fa lei. Spesso sono gli artisti in prima persona a trasformarsi in startupper per diffondere le sperimentazioni cromatiche su piante e prodotti naturali con l’obiettivo di fare a meno degli acrilici – termoplastiche che possono rilasciare composti tossici nell’aria.
C’è un pubblico di consumatori sempre più attento e consapevole a questi aspetti, sia tra chi fa l’artista di mestiere e viene venduto nelle gallerie, sia tra chi dipinge solo per hobby e passione. Le forniture “fine art” coprono ogni tipo di bisogno: possono essere senza plastica, metalli pesanti, conservanti, solventi tossici. Natural Earth Paint è uno dei fornitori leader di mercato, sulla sua piattaforma ricorda che i grandi maestri, da Rembrandt a van Gogh, avevano sempre usato solo pigmenti naturali e che le loro opere sono state più che durevoli e resistenti. Come a dire: c’era tutto un mondo prima dei colori industriali di origine chimica, possiamo tornare lì. Un’altra frontiera delle ecopitture è il mercato dei prodotti vegani: carta, pennelli, colori e tele hanno spesso bisogno di derivati animali nei processi produttivi, ma ognuno di questi materiali ormai ha una sua alternativa vegetale e cruelty-free.
Un altro campo particolarmente fertile per la ricerca della sostenibilità nel settore è quello della street art, grazie a innovazioni che non solo permettono alle opere di essere create in modo compatibile con le esigenze di un pianeta fragile, ma anche di avere un effetto benefico sull’ambiente intorno, per esempio assorbendo smog e altri agenti inquinanti. Un murales di mille metri quadrati, come quello che si può ammirare camminando nel quartiere Ostiense a Roma, opera dello street artist milanese Iena Cruz, ha lo stesso effetto sull’aria di un boschetto di trenta alberi. Tutto merito della vernice Airlite, che a contatto con la luce trasforma ossidi di azoto e zolfo, benzene, formaldeide e monossido di carbonio in molecole di sale. Non casualmente, quell’opera si intitola Hunting Pollution, a caccia dell’inquinamento. A facilitare la sua creazione era stata Yourban 2030, associazione fondata da professionisti all’intersezione di scienza e cultura, nata per indirizzare il mondo dell’arte urbana sui diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. I progetti per l’ambiente devono sempre avere l’ambizione della scalabilità, dell’impatto più grande: l’ecopittura mangia-smog Airlite promossa da Yourban 2030 quest’anno è stata adottata anche dal Comune di Roma che, all’unanimità (caso rarissimo in una città di solito conflittuale), ha deciso di utilizzarla per tutti gli interventi di manutenzione e per le nuove opere pubbliche nella città. Anche il famoso mammut di Zerocalcare nel quartiere di Rebibbia è stato restaurato con questa vernice. Sul fianco dell’animale disegnato dal fumettista romano dieci anni fa c’è scritto: «Qui manca tutto, non ci serve niente». Da un anno, però, questo simbolo di orgoglio urbano, con la sua speciale respirazione brevettata, ha l’effetto di assorbire l’inquinamento prodotto da una decina di automobili. Non è tanto, ma è il seme di un ruolo diverso per l’arte della società.
IMPATTO ZERO AIRLITE, airlite.com. IENA CRUZ, ienacruz.com. NATURAL EARTH PAINT, naturalearthpaint.com. NICOLE YOUNG, nicoleyoungart.com. YOURBAN 2030, yourban2030.org. ZEROCALCARE, zerocalcare.net.
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