Preparatevi a un viaggio nel tempo, indietro di 40 anni. È il tempo che una laureata di Catanzaro ha impiegato per vincere un ricorso. Presentò domanda quando era una giovane donna, in un’epoca in cui il mondo aveva ancora il Muro di Berlino, la lira e le cabine telefoniche a gettoni. Oggi, il Consiglio di Stato ha stabilito che quella biologa doveva essere assunta. Peccato che nel frattempo sia andata in pensione (ha anche tre nipotini) perché sono passati 40 anni e 27 governi, dall’Andreotti VI al Meloni. Una storia surreale di burocrazia che si è conclusa solo poche settimane fa, quando il Consiglio di Stato ha dato ragione alla dottoressa Emira Picciotti, ex dipendente della Provincia di Catanzaro, classe 1953, riconoscendole il diritto a un risarcimento per la mancata assunzione dal 1983 al 1993, oltre a 7mila euro di spese legali. Il risarcimento, tra capitale e interessi, è stato quantificato dal suo avvocato Gian Paolo Stanizzi in circa 1,2 milioni di euro.
La storia incredibile – la racconta oggi il Fatto Quotidiano – inizia il 7 dicembre 1983, quando al governo c’era Craxi, Platini era in corsa per il Pallone d’Oro, al cinema davano Flashdance e nelle radio suonava Thriller di Michael Jackson. La signora Picciotti, fresca di laurea e felice come una Pasqua, aveva appena messo su famiglia (oggi ha tre figli) e vinto un concorso nazionale per un posto al Centro provinciale di ecologia di Catanzaro. Ma la sua presa in servizio fu impedita dall’accertamento di legittimità del Coreco, l’organismo di controllo regionale, che ne dispose l’annullamento perché il posto di biologo era stato trasferito al sistema sanitario nazionale. Scattò così il primo ricorso.
La signora lo vinse nel 1990, con il Consiglio di Stato che annullò il provvedimento del Coreco, riconoscendo l’illegittimità del diniego all’assunzione. Ma l’anno dopo, il Coreco annullò nuovamente la delibera di nomina per mancanza di posti in organico. Nel 1993, un’altra delibera dell’amministrazione provinciale riconobbe la retrodatazione economica, ma non quella giuridica. Un altro ricorso al Consiglio di Stato, che nel 2011 confermò quel mezzo diniego. Ma la biologa non si arrese e chiese un risarcimento per gli anni non lavorati. E così arrivò la sentenza del Consiglio di Stato del 2 ottobre 2024: l’amministrazione provinciale di Catanzaro dovrà formulare una proposta risarcitoria per il periodo dal dicembre 1983 all’ottobre 1993, includendo gli stipendi che avrebbe dovuto percepire, con l’aggiunta degli interessi e della rivalutazione monetaria.
«La dottoressa Picciotti non ha mai abbassato la testa, pur avendo visto la sua vita professionale profondamente segnata da questa vicenda», sostiene l’avvocato Gian Paolo Stanizzi. Sicuramente segnata dal tempo. «Quando l’avvocato mi ha chiamato non ci volevo credere» dice al Fatto, quasi sorvolando sul fatto che avesse ragione e che le spetterà un risarcimento, comunque verrà calcolato. «Sono rimasta interdetta perché in questa altalena di sentenze per quasi mezzo secolo mi sono abituata a non credere finché non vedo». Ricorda quanto le sia costato quel decennio senza lavoro. «Dovetti fare enormi sacrifici, avevo due bambini piccoli e dovevo lavorare ma non ero stata assunta. Così ripresi in mano gli studi, potrei aprire una pelletteria con tutte le borse di studio che presi, ma con quelle non ci sfami i bambini». Racconta dei figli nati proprio nel 1982 e 1983. «Erano gli anni Ottanta, quelli in cui la mia generazione veniva colpita dai primi anni di disoccupazione, quando si iniziava a sospirare per un posto alle Poste. Avevo messo su famiglia ma non potevo arrendermi a un’ingiustizia, che messaggio avrei trasmesso?». Progetti? «Prima mi faccia vedere bene la sentenza» dice la biologa. Dopo 40 anni di tribolazioni la prudenza non è mai troppa.
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