Dobbiamo rassegnarci ad essere sempre di meno. E sempre più vecchi. Le politiche volte ad incentivare la natalità non funzionano, soprattutto in Europa e Negli Usa. O almeno, non danno i risultati sperati.
Lo dicono i numeri dell’Istat, del’Unfpa, le statistiche dei governi, le inchieste di numerose testate internazionali. Il calo delle nascite è drammatico anche in Italia, come racconta il Post in un lungo è dettagliato articolo. Ma perché non facciamo figli? Davvero è una questione di soldi e servizi? Davvero dipende dall’assenza o insufficienza di bonus, sussidi, sgravi fiscali, congedi parentali, asili nido? Sembrerebbe di no. Nel senso che la scelta di mettere al mondo dei figli è solo in minima parte influenzata da fattori economici.
Tra gli esperti è ormai idea pressoché condivisa che agevolazioni e ogni altro mezzo pensato per contrastare la denatalità abbiano prodotto ovunque risultati molto al di sotto delle aspettative.
Oggi metà della popolazione mondiale vive in paesi dove sono più le persone che muoiono che quelle che nascono (ad eccezione l’Africa Sub-sahariana).
Politiche per incentivare le nascite sono fallite in Giappone, negli Stati Uniti, in Norvegia e Ungheria (dove la spesa in tal senso è molto alta). Diverse ricerche indicano che anche i provvedimenti più generosi sono in grado di produrre incrementi piuttosto lievi.
Alla base della crisi della natalità ci sarebbero dunque fattori culturali e sociali: «In Europa e negli Stati Uniti – argomenta Il Post – il calo delle nascite è coinciso con il progressivo aumento del numero di donne nel mondo del lavoro, la riduzione dell’influenza della religione nei comportamenti della popolazione, e l’aumento del tempo investito dalle persone negli studi e nella formazione professionale rinviando il matrimonio. I tassi di natalità più bassi sono in sostanza un indice di progresso, perché storicamente attestano un declino dei tassi di mortalità infantile e una progressiva riduzione delle attività prevalentemente agricole o a conduzione familiare, la cui gestione richiedeva una prole».
Sviluppo economico, laicizzazione, affrancamento dal lavoro nei campi, istruzione e lavoro spingono le coppie a fare sempre meno figli. E vale pure per chi si potrebbe permettere una famiglia numerosa.
Anche dove si è deciso di traferire il peso del lavoro domestico sugli uomini i risultati sono stati magri. Nei paesi scandinavi, ad esempio, hanno cercato di stimolare comportamenti in grado di correggere le disuguaglianze di genere tra genitori nella speranza di rendere le famiglie più numerose. Nel 1995 la Svezia introdusse il «mese del papà», un mese di congedo parentale per il coniuge – di solito il padre – che non avesse usufruito del congedo dopo la nascita di un figlio o di una figlia. Nonostante questa misura abbia contribuito nel tempo a produrre un cambiamento significativo nelle aspettative culturali nel paese, il tasso di fecondità non è aumentato.
Il punto fondamentale è che una decisione importante come quella di avere figli raramente si riduce a una mera questione economica o a chi cambierà i pannolini», ha sentenziato il New York Times.
Questo non significa che le politiche pensate per stimolare la natalità siano utili, dato che fornire servizi di assistenza all’infanzia è comunque cosa buona e giusta.
E’ solo che nella decisione di mettere o meno al mondo dei figli incidono altre cose. Incide il modello culturale e sociale nel quale viviamo, che privilegia la carriera, il benessere individuale, l’edonismo, e non il sacrificio, la dedizione all’altro. La verità è che facciamo meno figli perché siamo egoisti, perché “vivere per i figli”, per assicurare loro un futuro dignitoso, come accadeva in passato, non è più l’ambizione di chi abita la contemporaneità.
Pare, inoltre, che nemmeno l’immigrazione possa invertire il trend. Diversi studi dimostrano che quando gli stranieri arrivano in Europa si adeguano ai modelli di vita occidentali e i tassi di natalità finiscono, progressivamente, per coincidere con quelli del paese dove si sono trasferiti.
Ovviamente, tutto ciò inciderà, nel medio e lungo termine, sulla tenuta dei sistemi economici, sulla produttività, sul welfare, sull’occupazione e sui sistemi pensionistici di larga parte del pianeta. Soprattutto in Europa, soprattutto in Italia, dove la natalità è calata a picco ormai da decenni e dove sono tanti i piccoli borghi che stanno lentamente e letteralmente scomparendo.
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