È meglio costruire un milione duecentomila alloggi popolari o ammodernare, soprattutto sotto il profilo dell’efficienza energetica, cinquecentomila immobili, per la gran parte di proprietà di persone non in stato di bisogno economico e, talvolta, per quelle che in realtà sono seconde case? La domanda è ideologica, certo, ma non per chi studia l’economia utilizzando la scienza dei numeri, soprattutto se si sta parlando di soldi pubblici.
A porre la domanda, certamente tendenziosa, è l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, più conosciuta come Cgia, il cui ufficio studi sforna ogni settimana approfondimenti basati su dati ufficiali dello Stato. E stavolta, a finire sotto la lente d’ingrandimento della Cgia, sono stati i Superbonus 110% per la ristrutturazione delle case degli italiani: è ciò che toglie il sonno al Governo di Giorgia Meloni, che quei soldi spesi per il Superbonus avrebbe tanto voluto averli per fare investimenti che poi, alla fine, rendono anche sotto il profilo elettorale. E non ce lì ha. Ma anche qui, siamo nel campo dell’ideologia e della perenne campagna elettorale.
C’è però il problema che i numeri non mentono mai e l’ufficio studi della Cgia li utilizza proprio per quello. E allora, viene fuori che per il Superbonus 110% lo Stato ha sostenuto oneri complessivi pari a 123 miliardi di euro. Il problema è però che, a beneficiare dei lavori per l’efficientamento energetico, sono state appena cinquecentomila unità immobiliari nell’intero Paese, cioè quattro su cento. Il che, per una spesa di quel calibro, dalla stessa Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre è ritenuto un risultato modesto. «Abbiamo speso sei punti di Prodotto interno lordo per efficientare un numero sparuto di abitazioni, e questo fa arrabbiare chiunque abbia un minimo di consenso», tuona il centro studi.
Insomma, una parte infinitesima di edifici presenti nel Paese ha fatto da idrovora non di un liquido, bensì di liquidità statale. E i risultati, critica la Cgia, non sono esaltanti perché il Super Ecobonus 110% ha portato un abbattimento delle emissioni di C02 molto contenuto, e che comunque i costi dell’operazione si ammortizzeranno in quarant’anni. Il fatto è che, secondo molti esperti internazionali, il Superbonus sarebbe stato speso male perché premiava anche il ricorso a fonti d’energia non convenienti, come ad esempio il gas metano. Invece, dicono, per riscaldare gli ambienti, cuocere cibi e produrre acqua calda per la casa (l’acqua sanitaria), si dovrebbero utilizzare dispositivi elettrici tra cui le pompe di calore e i “fuochi” a induzione, significativamente più efficienti rispetto alle tecnologie alimentate con fonti fossili.
Dunque, 123 miliardi spesi male, a parere dell’Associazione di Mestre. Soprattutto in Sardegna, che di fronte a interventi nazionali sul 4,1% degli immobili esistenti, si è fermata al 3,1%, lasciando più soldi ad altre regioni: solo in Veneto, per dire, gli immobili sistemati sono stati il 5,6% e l’Isola è sedicesima in classifica. Passa al 19esimo posto se invece si parla di spesa dello Stato per il Superbonus 110%: 2.984 milioni di euro ricevuti per 15.920 pratiche edilizie hanno fatto arrivare in Sardegna 187.440 di intervento medio dello Stato nelle ristrutturazioni rimborsate. In Valle d’Aosta, per dire, quel valore è superiore ai quattrocentomila euro.
Relativamente ai 123 miliardi di costo del Superbonus per la collettività italiana, la Cgia di Mestre segnala che ci sono stati effetti economici positivi: maggiore gettito (Irpef, Ires, Iva eccetera), più occupazione, Pil alto, risparmio energetico e minori emissioni di inquinanti. Ma è solo una parte della storia, perché con 123 miliardi di euro lo Stato avrebbe potuto costruire, come si diceva, 1,2 milioni di alloggi popolari. E pensare che, ad oggi, sono in totale ottocentomila, quindi quattrocentomila in meno, e per lo più sono in gran parte edifici degradati, che hanno bisogno di radicali manutenzioni che, invece, il Superbonus 110% non ha praticamente portato. E ora le classi meno abbienti hanno ancora bisogno di una casa decente, mentre molti benestanti si sono rifatti le proprietà a spese nostre.
È il malus del bonus.
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