L’influente attivista conservatore accusa: «Dalla Corte Suprema ai seggi in Senato, i dem cambieranno le leggi a loro favore»
WASHINGTON- «Trump? Harris? Disputa appassionante, ma conta fino a un certo punto. I presidenti causano scandali, hanno poteri di veto, fanno le guerre. Ma quello che pesa davvero è il Congresso. Che fa le leggi, può bloccate le guerre negando i fondi e, se subisce un veto, aspetta che cambi presidente e va avanti: com’è successo con Eisenhower e Nixon. Se i democratici prendono Camera e Senato, oltre alla Casa Bianca, saremo dominati dalla sinistra per un altro mezzo secolo, come dall’era del New Deal di Roosevelt fino ai primi anni Novanta: cambieranno tutto, altro che dittatura repubblicana». Dal suo ufficio di Washington Grover Norquist, fondatore e capo di Americans for Tax Reform, il think tank antitasse che ha molto influenzato la destra fin dall’era Reagan, respinge le accuse di golpismo contro il candidato repubblicano che lui sostiene, anche se senza grande entusiasmo («Bush era un bambino, Trump è uno strano»), puntando, invece, il dito sul sovvertimento del quadro attuale che, secondo lui, è nella mente dei democratici.
Ok il contropiede, ma accusare di golpismo la sinistra…
«Non ho detto questo. Cambieranno le leggi. Se avranno la Casa Bianca e i voti in Congresso, aggiungeranno altri 7 giudici alla Corte Suprema in modo da eliminare l’attuale maggioranza conservatrice e si garantiranno un controllo parlamentare di lungo periodo creando nuovi seggi “su misura” al Senato: due qui a Washington, ridisegnando il District of Columbia. Dandone qualcuno a Porto Rico. E magari anche a Guam e alle Isole Vergini. Vogliono tornare egemoni. Guarda questa tavola: per decenni hanno avuto maggioranze schiaccianti al Congresso: l’80% quanto è passato il New Deal, il 70% al tempo delle politiche sociali della Great Society di Lyndon Johnson. Mentre Reagan non ha potuto fare quello che voleva: aveva mezzo Parlamento contro. Solo da metà degli anni Novanta, grazie anche al nostro pledge, coi repubblicani che si sono impegnati a non aumentare le tasse, la situazione si è riequilibrata. I dem vogliono alterare questa mappa inventando nuovi seggi in regioni amiche».
Anche fosse così, sarebbero mutamenti profondi, servirebbero vaste maggioranze.
«Basterebbe la maggioranza semplice. Certo, al Senato servono 60 voti su 100 per superare l’ostruzionismo, ma Harris ha già detto che, se vince, vuole abolire il filibustering per ripristinare l’aborto a maggioranza semplice».
Se anche per la Casa Bianca è testa a testa, la sinistra difficilmente terrà il Senato, che oggi controlla per un soffio.
«Penso anch’io. Perderanno un senatore in Ohio, uno in Montana, uno in West Virginia. E rischiano in Michigan e Wisconsin. Ma quello è il loro piano. Anche più tasse e leggi federali pro sindacati come quelle del Michigan dove, se vuoi lavorare alla General Motors, devi essere membro di una union. Vorrebbero imporlo anche al Texas».
Beh, i sindacati difendono i diritti dei lavoratori, i salari. E con le tasse si pagano anche i servizi sociali.
«La Florida, come il Texas, ha azzerato la tassa locale sul reddito (c’è solo quella federale, ndr) e ha un bilancio statale di 115 miliardi di dollari. New York, che ha una popolazione inferiore, spende il doppio: 230 miliardi. I sindacati del pubblico impiego impongono stipendi più alti, più assunzioni, benefit, pensioni più generose. E le scuole sono migliori in Florida. Guarda le mappe demografiche: la gente lascia gli Stati ad alta tassazione — California, New York, Michigan — e va al Sud dove si paga meno, come in Texas. Ormai ci sono più abitanti negli Stati repubblicani che in quelli democratici».
Le tasse non piacciono a nessuno, ma senza un Fisco progressivo crescono le diseguaglianze. Trump promette altri tagli delle imposte sulle imprese dopo quello del 2017 e sgravi per 8-10 mila miliardi di dollari in 10 anni. Senza alcuna copertura. Chi paga?
«Calcoliamo che ogni due dollari di maggiori profitti delle imprese uno va ai dipendenti come salari. Quanto al gettito, dopo il taglio di imposte del 2017, quello della corporate tax è calato nel 2018, nel 2019 e anche nel 2020, per la pandemia. Ma poi è esploso raggiungendo livelli molto più alti di quelli pre riforma. Se con nuovi sgravi fiscali la crescita Usa passa dal 2 al 4%, le entrate aumenteranno di 8 mila miliardi in 10 anni».
Il Project 2025 della Heritage Foundation propone una rivoluzione amministrativa dal sapore autoritario. Via tutti i dirigenti pubblici non allineati al presidente: forse 50 mila. Attaccato per questo dai democratici, Trump ha sconfessato la Heritage, ma lì hanno lavorato i suoi collaboratori. E la norma che consentirebbe i licenziamenti di massa, Schedule F, era stata varata dallo stesso Trump nel 2020, a fine mandato.
«Non so se Schedule F funzionerebbe. La Heritage ha sempre fatto piani da offrire ai presidenti repubblicani, fin dai tempi di Reagan. Piani che potevano anche prevedere cure impopolari: da tenere, quindi, riservati fino a dopo il voto. Invece stavolta l’Heritage ha divulgato il suo progetto prima, e con grande enfasi. Trump non ha gradito. C’è un altro centro conservatore, l’American First Policy Institute, che sta facendo un lavoro simile a quello della Heritage, ma in modo più discreto. Saranno più ascoltati».
Colpisce Trump quando dice che, in caso di disordini, userà l’esercito.
«Non l’esercito: uso federale della Guardia Nazionale per sedare sommosse. Del resto anche i democratici hanno usato i loro strumenti di repressione: nel 2012 hanno usato l’Irs, il Fisco, per demolire i Tea Party».
In lite fra loro «pensatoi» della destra subiscono anche la concorrenza dei tycoon conservatori della Silicon Valley: Elon Musk, Peter Thiel, il venture capitalist Marc Andreessen vogliono portare la loro disruption in politica. E Trump pensa a un Musk authority dell’efficienza.
«Niente di nuovo: nel 1982 Reagan nominò Peter Grace waste czar: zar della lotta agli sprechi».
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